domenica 20 ottobre 2013

Wendina - L'indomita panterina - Seconda Puntata






Milly era la nostra seconda gatta in ordine di tempo; prima avevamo avuto un gatto, Bianchino, un magnifico esemplare tutto bianco con la coda striata color crema.

Mi ero convinta a prendere un gatto per dare una compagnia alla mia bambina, in mancanza di una sorellina avrebbe avuto un gattino come compagno di giochi e qualcuno su cui riversare affetto ed attenzioni.



Diventato adulto Bianchino cominciò ad essere irrequieto e ci faceva capire, miagolando dietro la porta di casa, che sentiva la necessità di andare in giro in libertà.

Noi rispettavamo la sua esigenza e lo lasciavamo vagare in giro, infatti la mattina presto, quando noi uscivamo, io per andare al lavoro e Natalia alla scuola materna, Bianchino usciva e stava per ore libero e felice.

Poi per l’ora di pranzo noi tornavamo e Natalia, prima di entrare dentro casa, si fermava davanti al portone e con la vocina squillante chiamava “Bianchinoooo”; dopo qualche minuto lui arrivava correndo, da lontano, e saliva in casa con noi.

Io lo spazzolavo ben bene, lo pulivo con una schiuma adatta, lo facevo mangiare e lasciavo che trascorresse parte del pomeriggio a giocare con mia figlia.

Una mattina Bianchino uscì e non tornò più; lo cercammo nei dintorni, ci spingemmo anche oltre con l’automobile, ma sembrò essersi volatilizzato.

Dopo un po’di tempo un nostro amico ci portò Milly, veniva da una cucciolata di siamesi.

Milly era una Seal-point, aveva il corpo color crema e le caratteristiche macchie (points) color marrone scuro.

Aveva la tipica testa triangolare, le orecchie grandi ed appuntite, occhi a mandorla color zaffiro, il corpo sottile ed affusolato.

Docile, ubbidiente, affettuosa, mai aggressiva, era la compagnia ideale per una bambina.

Tornando a Sheila, lei partorì una mattina di marzo, fece tutto da sola perché io ero al lavoro e Natalia a scuola.

Quando aprimmo la porta di casa avevamo come un presentimento ed enorme fu la gioia nel trovare Sheila, mollemente adagiata sulle “pezze”lasciatele lì da giorni per l’uso, che leccava quattro minuscoli esserini tremanti.

I piccoli si stringevano fra loro e cercavano di introdursi sotto la pancia della madre.

Sheila ci guardò con occhi languidi e miagolò come se volesse renderci partecipi del lieto evento.

Il visetto di Natalia era trasfigurato dalla gioia, si inginocchiò vicino a Sheila, osservò i gattini, li lisciò piano con la manina; io mi gustavo il quadretto con gli occhi lucidi.

Poi mi guardai attorno alla ricerca di residui di placenta o cordoni ombelicali; niente di niente, tutto scomparso, tutto pulito e tranquillo.

Le gatte sono le migliori delle madri, autonome, premurose, attente, protettive fino all’estremo con la prole.

Natalia ed io avevamo il permesso di avvicinarci perché ci eravamo guadagnate da subito la sua fiducia.

In quanto a Milly ci sorprese piacevolmente perché rivelò sorprendenti attitudini da “cat-sitter.”

Quando la mamma-gatta si allontanava per mangiare o fare i bisogni, lei si sdraiava accanto ai gattini e li leccava, se loro poi cercavano di attaccarsi, invano, per succhiare, lei li lasciava fare.

Spesso le due siamesi si leccavano a vicenda dimostrandosi un grande affetto reciproco.

I cuccioli succhiavano il latte di giorno in giorno sempre più vigorosamente, solo uno destava un po’ la nostra preoccupazione.

Era l’unico gattino tutto nero, il più piccolo ed il meno vitale, spesso si faceva calpestare dai fratellini ed estromettere dalla suzione.

Natalia allora lo sollevava e gli poggiava il musetto su un capezzolo libero e lui finalmente si attaccava, spingendo con le zampette contro la mammella.

Quando sono così piccoli non si riesce a definire il sesso dei gattini, noi andavamo per supposizioni.

Dopo circa due settimane dal parto, tornando a casa, vedemmo Sheila che miagolava perché aveva la ciotola vuota e reclamava il cibo, però dei gattini non c’era più traccia.

Guardammo Milly ma lei se ne stava acciambellata sul suo cuscino come se la cosa non la riguardasse.

Preoccupate cominciammo a cercarli ed io vedendo mia figlia sempre più agitata la tranquillizzai, spiegandole che, normalmente, le gatte dopo un po’spostano i cuccioli da un’altra parte.

Lo fanno sempre per un senso di protezione e sicurezza, pensano che il nido sia diventato meno sicuro e li portano in un luogo segreto, sconosciuto a tutti.

Trovai subito il nuovo rifugio, dietro un cesto di vimini in un angolo della lavanderia, Sheila aveva portato lì le pezze e poi, uno ad uno, vi aveva adagiato sopra i gattini.

“-Come ha fatto a portarli fino lì, mamma? Lei è una gatta, non può prenderli in braccio!”-

Segretamente deliziata dall’innocenza della mia bambina, feci in modo di mostrarle come avesse fatto Sheila a spostare i cuccioli, prendendone dolcemente uno e adagiandolo nel vecchio nido.

Subito Sheila corse, lo prese delicatamente, con i denti, per la nuca e lo riportò nel nuovo nido.

Più volte al giorno allattava amorevolmente i suoi cuccioli, li puliva con la lingua, succhiava le loro pipì e pupù, non c’era mai sporcizia attorno a loro.

L’ultimo a cui cadde il moncone ombelicale fu quello nero, ovviamente.

Crescevano giorno dopo giorno ed anche il gattino nero diventava più forte e vitale.

Quando Natalia li prendeva in mano loro protestavano miagolando, tutti, tranne uno : quello nero.

Cominciammo ad osservarli attentamente dietro : erano tre maschietti ed una femminuccia.

La femminuccia era proprio quella nera, quella più piccola e più delicata, ma l’unica che si lasciava prendere senza lamentarsi da Natalia.

Quando i gattini ebbero compiuto due mesi cominciammo a valutare la loro possibile collocazione presso famiglie affidabili.

Sistemammo subito i due maschietti tigrati presso dei nostri parenti che avevano già altri gatti e se ne sarebbero

presi cura amorevolmente.

Sheila miagolò tristemente tutta la sera girandosi intorno alla ricerca dei due cuccioli, poi veniva da noi e ci fissava miagolando, quasi sapesse che eravamo noi le responsabili dell’allontanamento.

Milly si dimostrò davvero comprensiva ed affettuosa con lei, appena la sentiva miagolare alla ricerca dei cuccioli, le si strofinava contro e le leccava la testolina.

Io cercavo di confortare Natalia spiegandole che presto sarebbe stata Sheila stessa ad allontanarli da sé e a dimenticarsi del legame madre-figli.

E’ la legge della natura, solo noi umani manteniamo il legame filiale fino alla morte, gli animali presto affidano la loro prole al mondo.

Poi riuscimmo a sistemare Sheila da una coppia di amici che desiderava proprio una gatta siamese; dopo fu la volta del gattino bianco.

Natalia stentava a proporre l’adozione per quella nera.

La casa sembrò svuotarsi, la gattina nera rimasta sola con Milly si legò teneramente alla vice-mamma, che la adottò senza riserve.

La faceva dormire nella sua cuccia e lasciava che la piccola si infilasse quasi sotto di lei in cerca di calore, sembrava abbracciarla cingendole il corpicino con le sue zampe.

La teneva sempre accanto a sé, la seguiva quando zampettava o saltellava per la casa alla scoperta di nuovi posti, lasciava che lei mangiasse per prima aspettando pazientemente che fosse sazia e dopo averla leccata, si avvicinava alla ciotola.

Quando la piccola si allontanava troppo e non era più alla portata del suo sguardo la richiamava a sé miagolando, ed era buffo vedere come il batuffolino nero accorresse immediatamente.

Il tempo trascorreva e né io né Natalia affrontavamo il discorso “adozione”per l’ultimo cucciolo rimasto.

La mia bambina, tornata dalla scuola, mangiava in fretta ed altrettanto velocemente faceva i compiti per potersi dedicare alla gattina.

Ormai giocavano insieme, oppure guardavano insieme i cartoni alla TV, Natalia seduta sul divano e la gattina in grembo che le mordicchiava il dito quando lei la accarezzava.

Un giorno mia figlia mi chiese che nome dare alla gattina; tale richiesta presupponeva che ormai restasse con noi.

Affrontai l’argomento : -Vuoi che la teniamo con noi?-

Natalia con gli occhi che brillavano per la gioia rispose –Allora anche tu lo vuoi? Si, mammina, che bello, teniamola con noi.-

Pensammo al nome da darle e fu mia figlia a trovarlo, attingendo al suo mondo, quello incantato e meraviglioso dell’infanzia e delle favole.–Wendy, la chiamiamo Wendy, come l’amica speciale di Peter Pan!-

Riflettei un attimo, e decisi che quel nome le si addiceva proprio –Si -annuii -è proprio il nome giusto per lei.-

 

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