martedì 2 aprile 2013

Rocchetti e pistole - Quinta puntata


Antonio i primi tempi si adattò a vivere, insieme ad altri suoi compaesani, in un vecchio edificio in un quartiere di New York, pieno di poveri immigrati calabresi e siciliani , in uno spazio angusto, fatiscente, senza bagno, dove si ritrovavano tutti la sera, stanchi, pieni di malinconia e frustrazione.
In America la vita per gli immigrati del sud Italia era molto dura, gli americani li consideravano poco più che bestie, per loro gli italiani meridionali erano sporchi, rumorosi, portatori di malattie, di sporcizia, chiasso e delinquenza.




Ironizzavano sulle loro abitudini alimentari, religiose, sul loro parlare nei  dialetti ad alta voce, o cantare canzoni incomprensibili anche musicalmente, sulla facilità con cui molti di loro, esasperati dall'atteggiamento sprezzante degli abitanti del luogo, dalla stanchezza e dalla fame, attaccavano briga creando disordini ed episodi di violenza.
Antonio si dissociava dai soggetti più rissosi e tendeva ad isolarsi anche tra la sua gente.
Lui era arrivato fin lì con il solo scopo di migliorare le condizioni di vita  della sua famiglia, il suo obiettivo era quello di trovarsi un lavoro onesto, che gli consentisse di mettere da parte i soldi necessari per comprarsi un pezzo di terra da coltivare ed una casa,  al suo paese, poi sarebbe tornato da sua moglie e dai sui bambini, e non li avrebbe mai più lasciati soli.
Dopo i primi lavori saltuari e mal pagati, finalmente trovò occupazione nel quartiere "Little Italy", in una trattoria italiana a conduzione familiare, il proprietario, un siciliano ormai ben integrato nella comunità, si occupava dei clienti, il figlio, un ragazzino ancora imberbe, serviva ai tavoli, la moglie e la figlia erano addette alla cucina, alla preparazione delle pietanze.


Cercavano una persona che collaborasse in cucina, come lavapiatti, pelapatate, aiuto cuoco e Antonio fu ben contento di mettere a loro disposizione la sua buona volontà e la sua  serietà nel lavoro.
Quando il proprietario scoprì che suonava l'armonica a bocca e se la cavava anche con la fisarmonica, lo promosse, pur lavorando sempre in cucina, anche come intrattenitore nelle serate in cui il ristorante era pieno. 


La paga era buona, la trattoria era sempre piena ed i clienti, quando suonava la fisarmonica, gli elargivano sorrisi e mance.
Antonio assaporò tutto ciò come un primo successo personale e il suo prossimo, immediato obiettivo era imparare quella lingua a lui sconosciuta ed ostile.

6 commenti:

  1. oh ma qua la cosa si fa intrigante.... e poi...........

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  2. Ma scusa Lorenuzza, hai pensato a scrivere un libro?? seondo me lo dovresti fare...scrivi molto bene....ciao bacio Anna

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