giovedì 12 settembre 2013

Rocchetti e pistole - Decima puntata




Riassunto delle puntate precedenti : Anna è una bella ragazza di  quindici anni e si ritrova subito dopo la guerra, sola con la madre, in quanto il fratello risulta disperso in Russia, mentre del padre si sono perse le tracce dopo essere andato in America in cerca di un pò di fortuna e benessere per sè e la famiglia.Quello tra i suoi genitori era stato un vero e proprio colpo di fulmine, seguito dalla "fuitina" e dal matrimonio. Il giovane dopo un primo periodo di difficoltà riesce a trovare lavoro in un ristorante gestito da una famiglia di italiani, nel quartiere "Little Italy".
Durante la lontananza del marito, la giovane donna, rimasta sola con due bambini, piuttosto che rivolgersi ai familiari suoi e del marito, inizia a lavorare presso una sarta e riesce a farsi apprezzare sia dalla sua datrice di lavoro che dalle clienti.
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Cettina avrebbe voluto per i suoi bambini una vita più facile, non voleva che loro crescessero negli stenti come lei, non voleva che si ritrovassero senza un padre..e mai avrebbe voluto che conoscessero l'orrore della guerra, della quale lei, anche se allora era piccola, serbava un ricordo angosciante.
Per questo quando arrivavano le lettere di 'Ntoni si sedeva con i due bambini accoccolati ai suoi piedi e leggeva a voce alta ciò che scriveva il loro padre, orgogliosa di sapere leggere così bene e di ricordarsi ancora le regole della grammatica, così da correggere simultaneamente gli errori grammaticali ed ortografici del marito.




I bambini la ascoltavano, Anna era troppo piccola e dopo un pò appoggiava la testolina riccioluta sulle ginocchia della madre e si addormentava succhiandosi il pollice. Il maschietto invece ascoltava con espressione seria, da vero ometto, facendo esclamazioni di sorpresa o ridendo divertito in base a quello che descriveva il padre nel suo stentato italiano.
Narrava di un paese lontanissimo, immenso e irraggiungibile agli occhi di un bambino, e il padre, per il fatto che riusciva a resistere, da solo, in un luogo così diverso dalla propria terra, veniva da lui visto coraggioso come un eroe.



 'Ntonio scriveva di strade asfaltate grandissime e lunghe, di palazzi talmente alti che neppure se ti mettevi col naso in su riuscivi a vederne la cima in alto.
Ma quello che affascinava di più il bambino era la descrizione del ponte chiamato "Brooklyn", era lunghissimo e stava sospeso sul fiume, appoggiato solo in alcuni punti a dei piloni che s'immergevano nella profondità del fiume.


Collegava l'isoletta dove viveva suo padre con le altri parti della città, e ogni giorno tantissima gente lo attraversava, chi a piedi, chi con il carretto, chi con la carrozza, chi più fortunato e ricco con l'automobile.



Mattia faceva tante domande alla madre come se lei da quelle parole scritte su di un foglio potesse trarre delle vere e proprie storie avventurose!
La sera nel giaciglio accomodato in cui dormiva, Mattia chiudeva gli occhi e viaggiava con la mente, si immaginava camminare a fianco al padre con la  manina nella sua,  grande e callosa, percorrere il ponte magico a piedi, lui girava la testolina a destra e a sinistra e vedeva altri bambini camminare con i loro papà, ma parlavano quella strana lingua a lui incomprensibile..e si addormentava così, abbracciando suo padre con il pensiero , convinto che così non gli sarebbe potuto succedere nulla di male.

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